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Nessuno mi salverà da Banksy…

2 Febbraio 2025



“Il nostro sistema scolastico si basa sull’accumulo di nozioni, ma in realtà maggiore è la quantità di dati che raccogliamo, maggiore è la confusione che ci avvolge, e inoltre perdiamo di vista la saggezza innata in ciascuno di noi.


Impariamo quindi a chiedere la verità, a bussare alla porta del nostro essere: questo è ciò che viene conosciuto come intuito, creatività, visione o profezia.


Per questo motivo il saggio si focalizza su colui che vede anziché sulla scena osservata.

Il veggente è il sé non locale.”


Deepak Chopra, “Le coincidenze”,Sperling e Kupfer, 2008


Ho ceduto: sono andato a visualizzare nella sua processuale definizione l’operazione Banksy e ne sono tornato svilito e demolito: ho preso attoche le sue strategie di marketing sono radicate in artisti come me, sono e mi sento anche io Banksy, e che la sua legittimazione e istituzionalizzazione di fatto abbia sdoganato in ogni dove street e public artist che hanno demolito di fatto quello che era il writing e i writer negli anni novanta.

Banksy pare prendere in giro tutto e tutti, gioca sull’analfabetismo di ritorno di chi oggi si relaziona all’arte, strizza l’occhio ai media di massa e critica in un recinto di informazione bipolare il punto di vista imposto (di fatto legittimandolo in chiave dialettica).

Il suo passaggio con relativa imposizione brandizzata nel mercato dell’arte, di fatto ha scavalcato Biennali d’Arte e fiere mercato, rendendo inutile posizionarsi come artisti indy, urban, street, critici, disobbedienti o quello che volete, Banksy ha fagocitato tutti, ha fagocitato e snaturato la mia storia, lasciandomi solo il lato umano del fare, ma passa per la fatica dell’umana disconnessione da tutta la mediocrità di ritorno che la sua operazione ha posto in essere.


Ha sublimato il ratto facendolo divenire un suo alter ego, messo in luce come il potere ci riduca in sudditanza, rendendoci impossibilitati a qualsiasi reazione (al punto che il suo lavoro pare un’indicazione grafica indiscutibile della realtà da seguire e inseguire, ma contro chi o cosa?), come un Picasso qualsiasi rivede lavori storici in chiave contemporanea (Gericault, David, Velasquez, Warhol, Monet…) e nel nome dell’ambiguità dell’immagine lascia che il momento politico con relative divisioni e critiche interne gli attribuisca un significato di fatto mai giusto (l’importante è che si ponga di traverso nell’informazione mass mediatica e media integrata): le sue Madonne nutrono con il veleno, i suoi crocifissi sono consumatori dipendenti, la ribellione punk pare essere ora qualcosa di paternalistico e materno in pensione, portato a comprendere il decadimento della speranza di questo tempo (pensate al “The walled off hotel”, installazione artistica a pochi metri dal muro di Betlemme dove il personale palestinese offre il benvenuto ai giovani israeliani).


Recupera vecchi dipinti a olio dai mercatini delle pulci e li modifica, li rielabora in una modalità come sempre esplicativo grafica suggerendo una visione sulla realtà mediatico informativa di massa.


I suoi pochi comunicati paiono testi anni novanta:

“Solo un limitato numero di individui nel mondo ha un’influenza significativa.

Quando entri in una galleria d’arte sei essenzialmente un turista che osserva la collezione di trofei di un manipolo di miliardari”.


Il suo non prendere sul serio l’arte schiantato in faccia a chi pensa (come me) che sia una questione seria:

“Mi sembra che il modo migliore per fare soldi con l’arte sia non provarci nemmeno.

Non ci vuole molto per essere un artista di successo: basta dedicargli una vita.


La cosa che la gente più ammirava di Picasso non era l’equilibrio tra lavoro e vita privata”.


Un demolitore di quella stessa base che lo sostiene e che storicamente con lui ha condiviso delle pratiche, la sua brandizzazione ha sdoganato tantissimi street artist che di fatto sono diventati public artist e che lavorano ciclicamente per questa o quella associazione, per questa o quella amministrazione comunale, trattati da questa o quella galleria, finendo di fatto per accreditarlo eticamente, dal momento che (a differenza dei suoi tanti epigoni geolocalizzati) non ha mai rivelato la sua identità e non si è mai accontentato di spiccioli per tirare a campare, la sua opera priva di valore artistico è ovunque ed accessibile a tutti, eccezion fatta per quella battuta da case d’asta che nutre chi ne legittima proprio quella artisticità da cui lui prende le distanze.


Banksy è un capolavoro dell’arte ridotta a comunicazione, nel nome di questo complice un analfabetismo artistico di ritorno, sta cancellando ciò che resta della memoria dell’arte contemporanea e allevando e nutrendo una schiera di tecnici dell’arte esperti di semiologia mass mediatica che danno indicazioni di percorso, ponendo l’osservatore in posizione di sudditanza intercettandone con ironia la complicità: mi sta lentamente cancellando!


Domenico Di Caterino è artista contemporaneo, noto per l'approccio eclettico e la sua ricerca stilistica fusione di tradizione e innovazione.

 
 
 

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